GUIDA ALL'ASCOLTO CONCERTO N° 1474 | QUARTETTO PRAŽÁK E PAVEL KASPAR

Teatro Verdi Trieste, Riva 3 Novembre 1, Trieste
Lunedì 29 novembre 2021, ore 20:30

Antonín Dvořák (Nelahozeves, Boemia, 1841 - Praga 1904)
Kvartetni vĕta F dur (Movimento di quartetto in Fa maggiore, 1881)

  • Allegro moderato

Antonín Dvořák (Nelahozeves, Boemia, 1841 - Praga 1904)
Quartetto per archi n.13 in Sol maggiore, op.106 (1895)

  • Allegro moderato
  • Adagio, ma non troppo
  • Molto vivace
  • Finale: Andante sostenuto. Allegro con fuoco

Antonín Dvořák (Nelahozeves, Boemia, 1841 - Praga 1904)
Quintetto per pianoforte n.2 in La maggiore, op.81 (1887)

  • Allegro, ma non tempo
  • Dumka - Andante con moto
  • Scherzo-Furiant: Molto vivace
  • Allegro

NOTE DI SALA

Buona parte del catalogo di Antonín Dvořák è occupata da lavori da camera e da opere teatrali che annoverano, tra le loro fila, dei gioielli del tutto sconosciuti (nel nostro paese). Il componimento che apre questo concerto, per esempio, venne scritto nel periodo in cui Dvořák lavorava ad una sua opera, Dimitrij. Mentre, a metà settembre 1881, elaborava gli abbozzi del quarto atto di questa “opera storica” (che venne poi eseguita a Praga, al Teatro Cèco, l’8 ottobre 1882), gli venne proposto da Joseph Hellmesberger, kapellmeister della corte viennese, di scrivere un quartetto che sarebbe stato eseguito il 15 dicembre. La notizia venne anche pubblicata sulla stampa; il che lo costrinse ovviamente ad affrettarsi. Dall’1 al 9 ottobre vide la luce il primo movimento, un Allegro moderato della durata di circa 9 minuti. Poi Dvořák accantonò tutto e cominciò ex novo (il 25 ottobre) un nuovo quartetto, il n.11, in Do maggiore, op. 61.

Non è chiaro perché questa composizione sia stata abbandonata: si ipotizza che l’autore ne percepì la mancanza di tensione interna, ben evidente invece nel coevo n.11. Il musicologo Geijtenbeek suggerisce l’idea che in quel periodo della sua vita Dvořák fosse convinto dell’impossibilità di poter comporre un quartetto per archi in quella tonalità (ma col n.12 questa lettura viene del tutto meno). Sempre molto critico nei confronti del proprio lavoro – come Brahms d’altronde, che divenne non solo suo mentore ma anche intimo amico – il maestro boemo cancellò dal suo catalogo moltissimi lavori, sottoponendo spesso quelli già “completati” ad intense revisioni. Avendo visto i suoi lavori giovanili respinti a più riprese e dovendosi guadagnare da vivere, all’inizio della sua carriera, come violista, organista e insegnante di musica, mancando di quella conferma esterna che garantisse la sua qualità compositiva, pur continuando a comporre notte e giorno, alacremente, non è escluso che avesse maturato negli anni un’autoconsapevolezza critica esagerata nei suoi stessi confronti. Ascoltando questa pagina dimenticata, rimasta nascosta nel cassetto del suo creatore per un lunghissimo periodo, tanto da venir eseguita per la prima volta soltanto nel 1945, in un concerto radiofonico di Radio Praga, quel che oggi ci colpisce favorevolmente è l’estremo nitore melodico ed armonico d’un eloquio musicale che non conosce forse tensione ma che ha dalla sua un fluire costante e progressivo di brevi cellule melodiche che si intrecciano fra gli strumenti e che lasciano sospesa nell’aria una trasparenza strutturale quasi mozartiana. Alla conclusione del movimento dispiace abbandonare il garbo cordiale, schietto e spontaneo che lo contraddistingue; dispiace anche non poter sapere come, tutto questo, si sarebbe concluso.

Ma il lavoro che lo segue nel programma porta con sé una tale ventata di vigore che ogni malinconico indugio scompare.      

Di ritorno dai due anni (1892-94) trascorsi a New York a dirigere il National Conservatory, Dvořák si liberò d’ogni influenza esotica riappropriandosi della musica della sua terra d'origine. Il Quartetto in Sol maggiore, op.106, undicesimo dei quattordici composti, venne elaborato rapidamente, in meno d’un mese, dall’11 novembre al 9 dicembre 1895 e si propone come omaggio festoso alla patria boema, ai suoi paesaggi ed alla sua natura.

Il primo movimento, in forma sonata, gioca con ritmi spigliati che innervano un dialogo costante e variegato fra i due temi che si intrecciano in modo serrato. Ma è nell’Adagio che la vena melodica assume un aspetto preponderante: in forma di variazioni, il decorso musicale si intensifica progressivamente sino ad un crescendo armonico che poi si estenua in un fraseggio meditativo e delicato che spegne questo movimento su un triplice pianissimo.

Uno dei suoi primi biografi, Otakar Sourek, descrisse questo movimento come una delle più amabili e profonde meditazioni musicali del maestro boemo. Ogni variazione cresce d’intensità, ampliando i due temi sulle quali sono costruite ben oltre la struttura iniziale. Il primo tema è appassionato ed espressivo mentre il secondo, per contrasto, è affettuoso e delicato. Nella parte centrale del movimento il primo tema viene sviluppato con una progressiva ferocia d’intenti finché il secondo motivo irrompe facendo suonare i quattro strumenti quasi fossero un’orchestra, con una densità espressiva trascinante.

Lo Scherzo che costituisce il terzo movimento è una pagina ritmicamente brillante che nella parte centrale, nei due trii, non rinuncia ad una caratteristica ed accattivante espressione melodica che, nel suo cedere progressivamente al ritmo evoca certi procedimenti compositivi residuali della Sinfonia n.9, la celeberrima “Dal Nuovo Mondo”. Non va d’altronde scordato che questo lavoro era destinato alle sale nordamericane, tant’è che la prima esecuzione assoluta si ebbe a Boston, al New England Conservatory of Music, il 1 gennaio 1896.

L'Andante sostenuto finale, coronato da un risolutivo Allegro con fuoco si basa su un tema in forma di furiant, festosamente danzante, che sembra far confluire in sé tutti gli elementi tematici che questo finale porta gioiosamente a conclusione.

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Anche il secondo Quintetto per pianoforte ed archi, op. 81, venne composto in un breve lasso di tempo: meno di due mesi, dal 18 agosto al 3 ottobre 1887 (la prima esecuzione si tenne a Praga, alla Konvikt Sal dell'Umelecka Beseda (Unione degli Artisti), 6 gennaio 1888). Lavoro raffinatissimo per la sintesi straordinaria che Antonín Dvořák riuscì ad attuare fra struttura formale classica immersa nel romanticismo di matrice tedesca ed espressione diretta del canto popolare che da quelle rigide forme doveva trarre massimo slancio plastico ed appassionato.  

L'ambizione strutturale alla grande forma si manifesta principalmente nei movimenti estremi, dominati da un'elaborazione tematica tesa e concentrata negli sviluppi, mentre in quelli centrali risaltano, a complemento della prima, i due aspetti peculiari dell'idioma ispirato al folclore e cioè effusione melodica e vivacità ritmica. Si ascolti, nel primo movimento, la netta icasticità dei temi, la loro espressività che oscilla tra indugi contemplativi e vigorose impennate che portano questo Allegro iniziale a configurarsi come una serie prodigiosa di idee contrastanti che danno vita a repentini cambiamenti d'umore ed atmosfera. Cambiamenti repentini che si pongono in vivace contrasto col carattere popolare dell’elegiaco Andante elaborato su un genere di canto di origine ucraina dall'andamento lento, prevalentemente in modo minore, la dumka, per il quale Dvořák aveva una particolare predilezione (tanto da giungere a scrivere un intero Trio – quello in mi minore, op. 90 – composto esclusivamente da dumky). Sul gioco caratteristico di questa struttura tradizionale, che alterna (come in molte danze slave ed ungheresi) sezioni lente ad altre veloci, e spesso dai toni opposti, insieme spontanei e controllati, Dvořák riesce a sprigionare un’immediata forza comunicativa che viene confermata dallo Scherzo in 3/4 che segue e che a sua volta attinge prepotentemente alla musica popolare cèca col suo alternare ritmi binari e ternari così caratteristici del festoso furiant.

Il Finale non è meno trascinante nella sua immediatezza comunicativa e sfrutta tutte le risorse fornite dai più vivi contrasti, sino all’inserimento – addirittura – d’un breve fugato che sottolinea non solo l'autonomia dei singoli strumenti nella costruzione d’insieme che si viene creando ma anche, e forse soprattutto, la cifra più totale e compiuta d’una stilizzazione formale che reinventa la realtà storica d’una musica in perenne divenire, fra folclore e tradizione: vera cifra dell’umano vagare nella Storia.

Pierpaolo Zurlo

Curiosando

1881

Il 4 dicembre viene eseguito, a Vienna, il Concerto per violino e orchestra di Pëtr Il'ič Čajkovskij. Già completato all’inizio del 1878 con la collaborazione del violinista Iosif Kotek, che doveva esserne il primo esecutore, all'ultimo momento Čajkovskij se lo vide respinto dallo stesso Kotek che rinunciò ad eseguirlo a causa delle insormontabili difficoltà tecniche. Stessa sorte si ebbe con Leopold Auer, primo dedicatario, che, letta la partitura, ne sentenziò l’ineseguibilità.
Tra infinite difficoltà il violinista Adol'f Brodskij portò il concerto in scena a Vienna sotto la direzione d'orchestra di Hans Richter e ne divenne il dedicatario finale.

1887

Il 28 gennaio 1887 iniziano nella zona del Campo di Marte a Parigi i lavori per la costruzione della Torre Eiffel. Il monumento simbolo della Francia, il più famoso della capitale transalpina, verrà completato il 15 Marzo 1889 con la realizzazione della cupola in cima alla torre.

1895

Il 25 febbraio 1895 in Sudafrica, in un territorio resosi indipendente dall’impero britannico, la repubblica del Transvaal, Paul Kruger fonda la prima riserva naturale del mondo, il Parco Nazionale Kruger.