GUIDA ALL'ASCOLTO CONCERTO N° 1480 | QUARTETTO ESMÉ

Teatro Verdi Trieste, Riva 3 Novembre 1, Trieste
Lunedì 28 febbraio 2022, ore 20:30

Franz Joseph Haydn (Rohrau 1732 - Vienna 1809)
Quartetto per archi n.81 in Sol maggiore, op.77 n.1 (1799)
I. Allegro moderato
II. Adagio
III. Menuetto. Presto e Trio
IV. Finale. Presto

Erich Wolfgang Korngold (Brünn [Austria-Ungheria - poi Brno] 1897 - Los Angeles 1957)
Quartetto per archi n.2 in Mi bemolle maggiore, op.26 (1933)
I. Allegro
II. Intermezzo. Allegretto con moto - Molto più mosso
III. Larghetto. Lento - Con molto sentimento
IV. Waltz. Tempo di Valse

Pëtr Il’ič Čiajkovskij (Votkinsk 1840 - San Pietroburgo 1893)
Quartetto per archi n.1 in Re maggiore, op.11 (febbraio 1871)
I. Moderato e semplice
II. Andante cantabile
III. Scherzo. Allegro non tanto e con fuoco
IV. Finale. Allegro giusto

NOTE DI SALA

Il programma di questo concerto – e anche di quello che seguirà fra quindici giorni – rappresenta quasi un viaggio, in sintesi, all’interno della storia del quartetto e della sua evoluzione nel corso dei decenni fino a giungere agli anni a noi vicini (fatto ancor più evidente nel caso del trio con pianoforte del prossimo incontro). Si parte da Haydn e si giunge fino all’avvento del nazismo in Germania che costrinse tante persone, non solo artisti, ad emigrare oltreoceano (e, per l’appunto, figli di diverse emigrazioni saranno alcuni dei protagonisti del prossimo incontro).

Epoche di cambiamenti e di novità, quelle attraversate dai compositori che si ritrovano fianco a fianco in questo impaginato. Novità che hanno influenzato la loro scrittura, abolendola addirittura in almeno un caso. O almeno così si sostiene quando si affronta il Quartetto n.81 in Sol maggiore, il primo dei due che costituiscono l’op.77 di Haydn. Dieci anni trascorrono dalla composizione di questo lavoro e la morte del suo creatore, eppure dei sei quartetti commissionatigli dal principe Franz Joseph Maximilian Lobkowitz, solo due, appunto, verranno conclusi. Il motivo viene oggi ravvisato nella contemporanea e progressiva comparsa dei quartetti dell’op.18 di Beethoven, a partire dal 1798: i cambiamenti radicali che suggeriscono quelle pagine, commissionate dallo stesso principe Lobkowitz, fecero sì che il sessantasettenne Haydn ne interrompesse la stesura fino al 1803, quando tenterà la strada del terzo Quartetto che si fermerà però ai soli due primi movimenti. Non erano quelli anni orfani di creatività, per Haydn, tant’è che sono il periodo in cui nascono le grandiose opere per coro e orchestra come Le Stagioni, le ultime due Messe, il Te Deum. Ma la stampa, nel 1801, dei sei Quartetti di Beethoven, che era stato allievo di Haydn e che il maestro seguiva con enorme interesse, l’aveva probabilmente motivato a fare un passo indietro, lasciando spazio al più giovane collega, con un gesto di discrezione che appare tipico del suo carattere lungo l'intero corso della vita.

Non si può nemmeno dire che vi fosse, nella sua vasta produzione quartettistica, una linea evolutiva unidirezionale, tant’è vero che benché avesse stabilito il modello definitivo del quartetto, è – tra gli autori suoi coevi – quello che più di tutti ne ha messo in discussione ogni forma precostituita (ed in particolare la forma-sonata). In questi estremi lavori ricorrono elementi che tendono al rinnovamento della struttura di base; le consuete relazioni di quinta tra le tonalità lasciano il posto a quelle di terza, le variazioni si sostituiscono alla forma-sonata e quest'ultima diventa monotematica (anziché bitematica). Il tutto sapientemente mescolato ai soliti elementi facilmente ascrivibili allo stile galante, utili ad attenuare le novità inserite. Non fa eccezione questa pagina: il tema del primo movimento ha un andamento solenne anche se l'impulso ritmico di (quasi) marcia non cancella l'eleganza giocata sulle tinte a “mezza voce” (così chiede Haydn in partitura) e la scherzosa comparsa, qui e lì, di piccole sorprese (raffinati scambi contrappuntistici, improvvisi scarti ritmici, impercettibili passaggi dalla polifonia all'omofonia). Piccoli avvenimenti fatti di lievi sfumature che regalano la sensazione di un rincorrersi senza una precisa destinazione. Un inno sacro, che circola fra le varie voci senza alterare la propria fisionomia di ringraziamento, struttura l’Adagio che si spinge in avventurose esplorazioni dei confini tonali prima che il velocissimo e dionisiaco Menuetto (più uno Scherzo, in realtà) porti con sé la gioia di danze zigane o croate. E poi la danza del Finale, paesana, dal fitto contrappunto e dal sottile fraseggio ritmico che accompagnano gli incalzanti virtuosismi del primo violino in una pagina che è già novità ma che rivelerà i suoi frutti maturi soltanto negli anni a venire.

I 24 minuti del Quartetto n.2 in Mi bemolle maggiore, op.26 di Korngold che segue forniscono un ulteriore ampliamento strutturale al fenomeno quartetto poiché le tre composizioni per questo organico lasciate da Korngold sono descrivibili come dei poemi sinfonici in miniatura, uno dei tanti esempi di quel rinegoziare le forme classiche tipico dei primi anni del Novecento: questo lavoro venne scritto poco prima che il suo autore, nato in una famiglia ebraica, lasciasse l’Europa per Hollywood a seguito dell’ascesa al potere di Adolf Hitler, e straripa di quell’immaginario viennese che ammicca ai walzer di Johan Strauss II e contemporaneamente all’intricato lirismo di Richard Strauss.

Definito dal musicologo Nicolas Slonimsky “il respiro estremo del romanticismo viennese”, ammirato da Mahler e Richard Strauss (che ne furono i mentori) e da Puccini, portò in sé l’estenuata bellezza degli ultimi anni dell’Impero e deve la sua fama (oltre alla musica per film) ai suoi imponenti lavori sinfonici ed alle sue 5 opere; ma considerava la musica da camera – a differenza di Mahler e Strauss – come una felice opportunità per condurre quelle sperimentazioni che avrebbero poi trovato largo spazio nel restante suo corpus compositivo. L’op.26 nasce prevalentemente nella sua casa di campagna, lo Schloss Höselberg a Gmunden nell’Austria superiore, ed è pervasa d’una vitalità melodica che genera già dal primo movimento la sensazione d’una freschezza creativa ed evidenzia fin da subito il trattamento quasi virtuosistico d’ogni strumento. Nell’Intermezzo (in Do maggiore) tutto ciò diviene pienamente evidente in quel continuo e scherzoso borbottìo che lo contraddistingue con fascinoso buonumore, prima che l’esteso Larghetto centrale – che s’apre in un’atmosfera misteriosa – conduca all’intenso e nostalgico tema che ne costituisce la struttura portante. La solennità di questo momento riflessivo e lirico viene spazzata via dalla spensierata e danzerina gioia del finale che sottopone un tema di walzer a continue variazioni, caratterizzate da vivaci cambi di andamento e da un virtuosismo spontaneo e vivace.  

 

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Il Quartetto in Re maggiore, op.11 di Pëtr Il’ič Čiajkovskij, evidenzia un elemento di novità totale nella storia della musica russa (e, in generale, occidentale) perché è il prodotto creativo d’una giovane (e nuova) generazione di compositori che dota il proprio paese dei primissimi esempi di musica da camera (che non fossero i soliti pièces de salon per pianoforte o voce e pianoforte). Questo lavoro è il risultato d’una necessità economica: per aumentare le proprie entrate Čiajkovskij accolse il suggerimento dell'amico Nikolaj Grigor'evič Rubinštejn di organizzare al Conservatorio moscovita una serata concertistica di sue musiche e, non disponendo dell’orchestra dell’istituto, aggiunse al programma questo quartetto. Allo spettacolo, tenutosi il 28 marzo 1871 nella Sala Grande del Conservatorio, presenziarono personalità di rilievo, tra le quali va annoverato anche Ivan Sergeevič Turgeniev.

Fin dal principio si impone il tono lirico dell’insieme, con il primo tema del movimento iniziale che viene intonato in modo omofonico dai quattro strumenti; in un ambito sonatistico perfettamente “classico”, si succedono due temi che poi nello sviluppo articolano una serie di garbate varianti d’un breve frammento ascendente per poi tornare ad una ripresa che conduce alla brillante coda che chiude il movimento. È l’Andante cantabile centrale però che costituisce il gioiello di questo lavoro: su una melodia che l’autore aveva udito e trascritto nel 1869 nella residenza estiva della sorella Aleksandra a Kamenka, l’espansione lirica raggiunge esiti d’una bellezza struggente che gioca con i chiaroscuri d’un motivo popolare – Sidel’ Vanje na divane (Vania siede sul divano) – che nobilita della sua presenza questo movimento di riflessiva introspezione, russo quanto non mai. E non è un caso che sei anni più tardi, durante una visita a Mosca dove potè assistere ad un concerto in suo onore, Lev Nikolàevič Tolstòj, nell’udire questa musica, pianse. Anni dopo Čiajkovskij ne rese conto nel suo diario (1 luglio 1886): «Forse, mai in vita mia (…) sono stato così lusingato e commosso nella mia vanità di compositore come quando Lev Tolstòj, ascoltando l'Andante del mio primo quartetto e seduto accanto a me, scoppiò in lacrime».

Il brillante Scherzo, su un ritmo di valzer, con un Trio segnato dal pedale ostinato del violoncello, conduce all’Allegro giusto del finale, nuovamente in forma sonata e dovizioso di virtuosismi; anche qui fa capolino un’idea di sapore “russo” (esposta dalla viola e affidata nella riesposizione al violoncello) mentre tutta la macchina tematica conduce inesorabilmente verso la serratissima coda che conclude così con brillante voluttà ritmica questo viaggio compiuto attraverso l’Europa sulle 16 corde di questi strumenti.

                                                       

Pierpaolo Zurlo

Curiosando

1732

L’anno in cui nasce Haydn vede l’inaugurazione del Teatro Filarmonico di Verona: il 6 gennaio, l'opera di Vivaldi La fida ninfa (RV 714), su libretto di Scipione Maffei, viene allestita da Francesco Galli Bibiena.
Johann Sebastian Bach, in seguito alle proteste popolari per l'istituzione di una tassa sull’amatissima bevanda del caffè, compone la Cantata profana Schweigt stille, plaudert nicht (Fate silenzio, non chiacchierate), BWV 211, nota anche come Kaffeekantate, per l’appunto.

1871

Nell’anno di composizione del Quartetto di Čajkovskij, Charles Darwin pubblica The Descent of Man, and Selection in Relation to Sex (L'origine dell'uomo e la selezione sessuale), elaborato in seguito alla formulazione della teoria della selezione naturale.
Il 18 marzo, Parigi insorge e nasce la Comune che verrà stroncata, da forze francesi e prussiane congiunte, domenica 28 maggio. Il capo di governo, Adolphe Thiers, telegrafa compiaciuto ai prefetti: «Il suolo è disseminato dei loro cadaveri. Questo spettacolo spaventoso servirà di lezione. Sulla Senna una lunga scia di sangue segue il filo dell'acqua e passa sotto il secondo arco delle Tuileries. Questa scia di sangue non s'interrompe mai». Nella prigione della Roquette fa giustiziare in questo solo giorno 1.900 federati, in quella di Mazas oltre 400 che vennero gettati in un pozzo del Cimitero di Bercy.
Il 28 dicembre, Antonio Meucci deposita presso l'Ufficio Brevetti statunitense, a Washington, il caveat n. 3335 dal titolo Sound Telegraph in cui descriveva la sua invenzione, in attesa di trovare i 250$ per depositare un brevetto regolare. Denominato «telettrofono» è il primo telefono.

1957

L’anno in cui Korngold muore è ricco di eventi: il 23 gennaio nasce, negli Stati Uniti, il primo Frisbee, mentre ad aprile viene pubblicato On the Road di Jack Kerouac.
In Italia, il 4 luglio esordisce sul mercato automobilistico la Fiat 500 mentre due giorni dopo, il 6, a Liverpool, ad un concerto nella chiesa di St. Pete si incontrano per la prima volta Paul McCartney e John Lennon.
Il 4 ottobre l’Unione Sovietica lancia lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale della storia e il 27 novembre, a Milano, in una ex officina di viale Regina Giovanna, viene aperto il primo supermercato italiano: l'insegna del grande negozio “Supermarket” è disegnata da Max Huber, grafico e artista svizzero. La “Esse” che corre sopra le altre lettere, in grande evidenza, altissima, battezzerà il nome della società: “Esselunga”.