GUIDA ALL'ASCOLTO CONCERTO N° 1470 ALEXANDER BERNE

Teatro Verdi Trieste, Riva 3 Novembre 1, Trieste
Lunedì 11 ottobre 2021, ore 20:30

A different  perspective on sounds: breathin', moving'... 

NOTE DI SALA

Alexander Berne is a New York City composer, visual artist, multidisciplinary artist, producer and performer who has practically created his own art forms, as a real “Renaissance man”. Born and raised in NYC he is a musician of the highest order: he began as a serious sax artist in the jazz scene, even teaching for a short while at the Stanford University Jazz Workshop alongside with Joe Henderson and Stan Getz. Then he moved to Belgium where he devoted himself to solo saxophone performances. Italy has become a second home while producing the feature film “The Last Supper” with creator/director Armondo Linus Acosta.
His music is fascinating but a little hard to categorize: you can think to Brian Eno or Jon Hassell with some saxophone lineage going back to Philip Glass, without forgetting Jon Gibson and Dickie Landry. Which kind of music is he composing? Minimalist, New Age, Ambient? Every label works perfectly with him: what counts is that his music works equally well as ambient background listening as well as something to listen to intently, without distractions, to follow shifting timbres, textures and harmonies.
He serves as his own player and sound designer, at the same time, and he plays the soprano saxophone, the saduk (which is an instrument he himself invenvented, a kind of cross between a saxophone and the Armenian duduk, and has a warm, woody tone unlike any ever heard before), the sadukini (a “conically functioning” saduk), the tridoulaphone (a flute-reed hybrid) and a reeded slide trumpet. The employed techniques are related to rising-and-falling pitch-shifting to deepen the music's entrancing effect, such that one finds oneself caught up in the music's swoon. That the music involves a single instrument each time hardly means the results are one-dimensional.
Berne refers to his “choir” pieces – developed by the aid of “live electronics system” – as an “overtonal, textural, harmonic, vibratory, 'soundistic' experience”.

 

Alexander Berne, nato e cresciuto umanamente ed artisticamente in NYC, è un compositore, esecutore, artista multidisciplinare e produttore che ha in sostanza creato la sua stessa forma di arte, più o meno come avrebbe potuto fare un vero “Uomo del Rinascimento”. Musicista d’alto profilo ha cominciato la sua carriera come sassofonista in ambito jazz, insegnando per un breve periodo allo Stanford University Jazz Workshop accanto ad artisti del calibro di Joe Henderson and Stan Getz. Si è poi spostato in Belgio, dove si è dedicato all’attività di solista al sassofono, prima di decidere che l’Italia diventasse la sua seconda casa: e qui ha difatti prodotto il lungometraggio “The Last Supper” (girato nel Cenacolo leonardesco) con il regista Armondo Linus Acosta.
La sua musica è fascinosa benché complessa da categorizzare: può far pensare a Brian Eno o Jon Hassell con qualche deviazione verso il figurativismo di Philip Glass, senza per questo dimenticare Jon Gibson e Dickie Landry. Vien da chiedersi che genere di musica componga, alla fine: Minimalista, New Age, Ambient? Forse ognuna di queste categorie si adatta al suo lavoro creativo. Ciò che conta è che la sua arte sonora è efficace tanto come musica di sfondo, da ascoltare inconsapevolmente, quanto come creazione da seguire con attenzione, senza distrarsi, per seguirne i timbri cangianti, le densità ed i giochi armonici.
Esecutore e regista del suono di sé stesso allo stesso tempo, Berne suona il sassofono soprano, il saduk (uno strumento di sua invenzione, sorta d’incrocio fra un sassofono e il duduk armeno, dall’inaudito, caldo, legnoso timbro), il sadukini (un saduk “dalla funzionale forma conica”), il tridulàfono (un ibrido tra ancia e flauto) ed una tromba piccola a coulisse. La sua musica gioca spesso con piccole variazioni di altezza del suono, in modo da rendere più pieno e profondo l’effetto incantatorio del decorso melodico, perché questo coinvolga l’ampliamento progressivo d’un movimento estatico delle sonorità risultanti. Tanto che, alla fine, la sua musica – pur coinvolgendo un singolo strumento per volta – difficilmente si presenta all’ascolto semplicemente mono-dimensionale.

 

Pierpaolo Zurlo